rock in ritardo


Anche se svincolato da ogni contenuto cestistico e piuttosto datato oltreoceano (agosto 2005), ho deciso di pubblicare l’articolo che segue, apparso sull’ultimo numero di Intenazionale, che ho trovato così pieno di delicatezza e profonda competenza.
L’autrice si chiama Katy St. Clair: scrive per il San Francisco Weekly, settimanale californiano edito on line.
Penso che manderò una mail a Katy, per ringraziarla e perché… non si sa mai!
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Huey Lewis è un cantante pop americano. Negli anni ottanta era una megastar. Oggi i suoi fan più scatenati sono i disabili mentali.

“Cavolo, non vedo proprio l’ora divedere Huey!”, escla­ma il mio cliente Sean men­tre si mette in ordine i ca­pelli. Lavoro con Sean in un centro diurno per disabili mentali. Sean ha un ritardo mentale e soffre anche di gravi disturbi ossessivo-compulsivi. Si lava continuamente le mani e ha il terrore dei germi. Sulla testa ha tre capelli di numero, che spazzola ossessivamente tra una visita e l’altra al­la sua scuola di estetica. Ci va a farsi fare un taglio gratis quando gli vengono i ca­pelli “arruffatini”. Parte della sua disabi­lità si esprime nel bisogno di avere tre di tutto: tre bottigliette d’acqua, tre cap-pellini, tre tagliaunghie, tre capelli. Ecco spiegato perché ha una montagna di cd e cassette di Huey Lewis: tre copie di ognuno.

“Cavolo”, prosegue. “Si balla, si balla, si balla!”. E quando Sean dice che balle­rà, dice sul serio. Una volta l’ho visto in azione a una festa anni cinquanta, vesti­to come il bulletto di Grease (senza ca­pelli, chiaro) e non ha avuto un attimo di tregua per più di due ore. Sa un sacco di cose sulla musica: io lo chiamo “il juke-box umano” perché quando ascoltiamo la musica in macchina riesce a indovina­re qualsiasi canzone in meno di tre se­condi. Il suo cantante preferito è senza dubbio Huey Lewis.

Sean ha una fotografia incorniciata di lui e Lewis che si abbracciano. All’inizio mi sembrava carino che fosse riuscito a conoscere il suo cantante preferito e a farsi fare una foto con lui. Poi andando a casa di altri clienti ho cominciato a nota­re che si trattava di un fenomeno diffuso. Rose, Jennifer, Linnea, Donald (ho cam­biato i nomi per proteggerne l’anonima­to) avevano tutti una foto con Huey Lewis a un suo concerto.

Lewis era for­se il pifferaio magico dei disabili menta­li, con un’armonica al posto del piffero? D’altronde come altro spiegare i record di vendita del suo album Sports?

Qualsiasi sia la ragione del suo suc­cesso – le melodie orecchiabili, il cari­sma da svampito o forse i suoi video far­seschi – i disabili mentali vedono in Huey un personaggio importante e ado­rabile. Lui li rende felici.

Huey Lewis & The News hanno fe­steggiato il loro compleanno come band esibendosi alla fiera della contea di Marin, in una fresca sera d’estate della California. È qui che avevano mosso i primi passi, suonando nei locali tra San Rafael e la Mill Valley. Ovviamente lo spettacolo era atteso con ansia da tutti i miei clienti.

Io dovevo fare da accompagnatrice alla mia amica Bobbi. Avevamo appuntamento con gli altri al concerto. Ci sarebbero stati anche Sean e Linnea, ovviamente. A dire il vero a Linnea la colonna sonora di Dirty dancing piace più di qualsiasi disco di Huey ma, per tutti i diavoli, adora If this is it e non se la perderebbe per niente al mondo.

Linnea ha un difetto cromosomico non ancora diagnosticato, una sindrome che l’ha intrappolata in un corpo più piccolo del normale, con delle ossa dalla forma strana e una specie di ritardo neuronale. Ci mette sempre un attimo più del dovuto a risponderti, a ridere di una barzelletta o a compiere gesti semplici come appendere il cappotto.

Abbiamo molte cose in comune. A tutte e due piace mangiare al ristorante messicano con gli amici e vedere film dell’orrore. Linnea ha una qualità che per me è la migliore che si possa avere: sa prendersi in giro. Una volta le ho chiesto quale fosse esattamente la sua disabilità. Come sempre è passato qualche secondo prima che mi rispondesse: “Sono ritardata. Eh già !”.

L’ho soprannominata “la Nasca”, perché il naso le occupa circa un terzo della faccia. Ma la caratteristica più speciale di Linnea è che ha la buffa abitudine di parlare con se stessa come se fosse due persone. Ascoltarla è come sbirciare nella sua anima, e quel giorno non mi ci è voluto molto per capire quanto fosse entusiasta all’idea di andare al concerto.

– Stereotipi

Linnea (a se stessa): “Stasera vai al concerto?”. Risponde: “Eh già. Ci puoi giurare. Non me lo perdo proprio Huey Little”.

“Huey Little?” si chiede con l’altra voce. “Ma chi sarebbe questo Huey Little? Vorrai dire Huey Lewis!”. Poi ride di sé e a quel punto anche l’altra se stessa si fa due risate.

Ormai sono abituata a questi scambi di battute, che calmano Linnea e di riflesso hanno cominciato a tranquillizzare anche me. Quando Linnea non parla tra sé e sé, è come se non fosse davvero se stessa.

“Huey Lewis”, si dice ancora una volta soffocando una risatina. “Ficcatelo in testa, scema”.

Girano un sacco di stereotipi sui ritardati, e molti sono falsi. Sì, per parlare dei disabili mentali uso la parola “ritardati”. In fondo cosa c’è di male a dire “ritardati”? Vuol dire rallentati o in ritardo e quando qualcuno è ritardato è proprio così che reagisce (se reagisce) il suo cervello. Alcuni dei miei clienti sono bravissimi a leggere e far di conto, ma non riescono a raccontare cos’hanno fatto il giorno prima, o a spiegare perché una barzelletta faceva ridere. Altri non par­lano, non vedono o non riescono a dire quello che vogliono, però sanno capire quando sono triste. In ognuno di loro qualcosa che nel cervello della maggior parte delle persone funziona si è inceppato, è “ritardato”. Se gli omosessuali possono rivendicare l’uso di “checca” e i neri di “negro” allora sicuramente i disabili mentali possono rivendicare “ritardato”. E dato che non lo possono fare da soli, lo farò io per loro.

Ma torniamo agli stereotipi sui ritardati. Quando racconto in giro che amo il mio lavoro con loro, subito c’è chi pensa a un essere monociglio con la bava alla bocca, un braccio ripiegato sul petto e un ghigno sbilenco dipinto in faccia. Questo è il ritardato-tipo nell’immaginario comune. Ed ecco qualche altro stereotipo: sono tutti allegri e spensierati; si tirano tutti su le mutande più che possono; combinano sempre pasticci in bagno; ti vogliono sempre abbracciare. In realtà i ritardati sono come noi: ce ne sono di tutte le forme e di tutte le dimensioni. Anche loro si infilano i pantaloni una gamba alla volta. È solo che a volte li mettono al contrario.

Ecco qualche piccola verità sui ritardati. Prima di tutto, non girano intorno alle cose. Se sei un cretino, te lo dicono. Se hai una caccola attaccata al naso, stai pur sicuro che te lo faranno sapere. È proprio quello che vorrei sempre da un amico.

I ritardati non si prendono gioco degli altri, non li additano e non ridono di nessuno. A dire il vero, di solito i miei clienti vedono il buono in tutti. Si tratta di generalizzazioni, e ovviamente ci sono eccezioni alla regola, ma in linea di massima è per questo che amo il mio lavoro.

C’è solo uno stereotipo sui ritardati che è vero, un grande assioma universalmente valido: a tutti, proprio a tutti pia­ce Huey Lewis. In parte il loro amore è dovuto al fatto che a quanto pare Huey è una brava persona che fa un sacco di volontariato con i disabili mentali. Ma in gran parte è merito della musica.

I miei clienti hanno un disco preferi­to: a tutti piace la colonna sonora di Ritorno al futuro, dove c’è la canzone Back in time, “indietro nel tempo”. È l’esempio lampante dell’audacia da parolieri dei News. Gli era stato chiesto di scrivere una canzone per un film in cui il protagonista tornava indietro nel tempo; si sono messi tutti insieme a tavolino a riflettere e hanno creato la canzone perfetta, intitolata – pensate un po’ – Back in time.Le canzoni dei News non hanno pathos o significati nascosti. Sono lineari, piene di energia e facili da capire (un titolo d’esempio: The power o flove). Sono qualità apprezzate da un’enorme gamma di amanti della musica, tra cui si da il caso che ci siano anche parecchi ritardati mentali.

– L’evento

La fiera della contea si svolge al centro civico di Marin, un edificio disneyano progettato da Frank Lloyd Wright. Huey si esibirà su un’isola in mezzo a un lago. Bobbi, la mia compagna della serata, è una delle mie migliori amiche del centro. È la bontà fatta persona, ha la risata facile, la sindrome di Down e un’enorme cotta per Huey. L’ha incontrato per la prima volta quando aveva solo sette an­ni. Era sicura che Huey si sarebbe ricor­dato di lei.

Bobbi e io siamo arrivate tre ore abbondanti prima dell’inizio del concerto, per essere sicure di riuscire a trovare dei buoni posti a sedere. Bobbi è alta circa un metro e cinquanta e ha un grave problema agli occhi: non avrebbe visto un bel niente se fossimo rimaste in fondo. E purtroppo non era proprio il caso di proporle di prenderla sulle spalle, perché pesa novanta chili. Quando siamo arrivate, tutti i posti a sedere erano stati occupati da pensionati con i cappellini a visiera che avevano sistemato asciugamani da spiaggia, giacche e zaini sulle sedie attorno a loro per tenere occupati dei posti per la loro prole. Mi sono dovuta trattenere per non andare a dirgliene quattro, dopo aver girato in tondo per un quarto d’ora con Bobbi senza trovare neanche una seggiolina.

L’educazione – o meglio la mancanza di educazione – della gente non finisce mai di stupirmi. Bobbi non cammina bene; ha un passo vagamente circolare come certi nani dei film comici. Si vede che per lei camminare è faticoso. Eppure nessuno le ha offerto una sedia per paura di perdersi la visuale su Huey. Dev’essere stato così, oppure tutte e due eravamo diventate invisibili. Ho scoperto che è facile ignorare l’esistenza dei disabili; è quello che fa la maggior parte delle persone. Alla fine ci siamo messe sul prato alla destra del palco.

Bobbi aveva portato con sé il dvd celebrativo dei venticinque anni di Huey Lewis & the News che le avevo regalato per il suo compleanno, un paio di cassette di Huey e un pennarello indelebile per farseli autografare. Sono andata a comprarle una Coca-Cola e un panino prima di sistemarci.

“Niente fagioli”, mi ricorda, con una battuta che è tutta nostra. Ogni volta che andiamo da qualche parte – a mangiarci un hamburger, al ristorante cinese o a quello messicano – dice sempre al cameriere: “Niente fagioli”. Credo che un po’ di tempo fa le abbiano fatto male, e da allora sta molto attenta ai le­gumi nella sua dieta.

“Sissignora”, rispondo come sempre, “dose extra di fagioli in arrivo”.

Mentre stavo andando a prendere il panino la mia attenzione è stata attirata da una donna di mezz’età in prima fila che gridava come un’isterica. In mano teneva un cd, indossava vestiti dai colori scombinati e inadatti alla sua età, e continuava a dondolarsi avanti e indietro. “Non mi fanno salire sul palco! Non mi fanno vedere Huey!”. Lo diceva a chiun­que fosse disposto ad ascoltarla, come se le persone intorno la conoscessero da una vita. Era ritardata. A occhio e croce il dieci per cento delle centinaia di per­sone riunite per il concerto aveva qualche disabilità mentale. Il fenomeno di Huey non riguarda solo i miei clienti.

Un po’ di ragazzi di una casa famiglia si erano piazzati dall’altra parte del palco, con le coperte e il cibo da picnic. Bobbi ha riconosciuto alcuni suoi amici e li ha salutati da lontano. “Huueyyy!”, hanno gridato tutti in risposta. È come quando la gente grida “Bruuuuce!” a un concerto di Springsteen, solo che è più ritardata. Ma in fondo anche Huey Lewis è una versione ritardata di Bruce Springsteen. Pensateci bene: le sue canzoni non hanno mai più di tre accordi e parlano sempre di qualche tizio un po’ sfigato e senza soldi che cerca di rimanere a galla in questa pazza vita: i corrispettivi meno sentimentali dell’ethos di Springsteen (i comunisti noteranno che Huey non appartiene alla classe media, ma è cresciuto in una famiglia agiata a Marin, ha frequentato scuole private ed è addirittura andato a Cornell per il college).

Dopo aver aspettato due orette, abbiamo finalmente sentito il rumore che mi aspettavo, il battito che apre l’intro­duzione di Heart of rock ‘n’ roll (perché il cuore del rock and roll, ci ricorda Huey se non lo sapessimo, batte ancora). È la canzone perfetta per aprire il concerto di un gruppo che festeggia il suo anniversario. Subito tutti ci hanno scavalcato e si sono precipitati sotto il palco. Bobbi non riusciva a vedere niente, quindi le ho dovuto dire che Huey era in gran forma. Perbacco, lo era davve­ro. Aveva lo stesso aspetto e la stessa vo­ce di sempre. Un gruppo di disabili men­tali alla nostra destra alzava i pugni in aria e batteva le mani fuori tempo. I compassati abitanti di Marin, sulle loro sedie pieghevoli, battevano il tempo con i piedi. E inspiegabilmente delle adolescenti con la pancia scoperta e troppo trucco si aprivano un varco a gomitate per arrivare sotto il palco.

Esattamente come prima, nessuno sembrava prestare attenzione alla piccoletta con la sindrome di Down che cercava in ogni modo di vedere qualcosa, ma la folla ai concerti è un ottimo esempio della teoria dell’evoluzione di Darwin, con i più forti che riescono ad arrivare sotto il palco mentre i più deboli rimangono indietro.

L’isola su cui si esibivano i News era stracolma di gente in delirio. Il gruppo ha suonato tutte le sue più grandi hit, e perfino una versione a cappella di It’s alright. Bisogna ammetterlo: qualunque sia il trucco che rende una canzone orecchiabile, Huey Lewis & The News l’hanno capito. Confesso che anch’io ho una certa simpatia per la tastiera di Workin for a livin’.

“Quel tipo la suona proprio bene l’armonica, cavolo”, mi ha detto Sean il giorno dopo. Non siamo riusciti a vedere nessuno dei nostri amici la sera del concerto: c’era davvero troppa gente. Ma sono sicura che si sono divertiti almeno quanto quelli che ci circondavano.

– Lo sguardo

Bobbi è rimasta in estasi tutto il concerto, soprattutto quando le ho trovato una sedia dietro al palco su cui salire per vedere tutto più da vicino. Una mossa che ha irritato molto una signora di mezza età con il lucidalabbra rosa: “Se la metti lì in piedi noi come facciamo a gi­rarle intorno? Nessuno ci vedrà più nul­la”, mi ha detto in tono sarcastico, come se Bobbi non fosse lì e non la potesse sentire.

“Non mancherò di tenerne conto”, le ho risposto fulminandola con uno sguardo che avrebbe sciolto un ghiacciaio. Ho aiutato Bobbi a salire sulla sedia e l’ho sostenuta con un braccio. Abbiamo cantato insieme Doing it all for my baby. La stronza con il lucidalabbra rosa se n’è andata. Nel giro di qualche minuto una donna con un cappellino da baseball e un difetto di pronuncia si è unita al nostro coro, seguita a ruota da un suo amico che a occhio e croce aveva la sindrome di Asperger.

E poi è successo. Huey ci ha notato. È venuto verso di noi e ha cantato guardando dritto nella macchina fotografica di Bobbi.

“Huey!”, ha gridato lei. “Sono io!”. Huey è sembrato sorridere in risposta, poi con un balzo all’indietro è tornato al centro del palco.

È stato allora che ho capito. Tutti i miei clienti hanno una cosa in comune: vogliono che la gente li veda. Huey Lewis li vede. Huey Lewis ha deciso di dedicargli del tempo. Huey avrebbe dato a Bobbi una sedia se ne avesse avuto bisogno, o l’avrebbe fatta salire sulle sue spalle per farla vedere meglio. Ne sono convinta.

Non c’è voluto molto prima che Bobbi, dopo aver passato in piedi tutta la serata, cominciasse a sentire male alle ginocchia, quindi ce ne siamo andate durante il bis. Non è riuscita a farsi firmare il suo dvd, ma non sembrava im­portarle molto. Ci sarebbero state altre occasioni.

“Oh, Huey”, ripeteva Bobbi sulla stra­da di casa. “Il mio Huey”.

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Informazioni su mandu

Massimiliano Manduchi, 47 anni, laureato in Psicologia e allenatore federale, lavora come educatore presso la Cooperativa “Il Millepiedi” di Rimini dal 1998. Dal settembre 2000 si occupa di persone diversamente abili (psichiche) presso il Centro Diurno NOUS. Ha fondato gli Special Crabs nell'estate 2004. Nell'estate 2007 ha conseguito la qualifica di allenatore di base.

Pubblicato il 14 giugno 2008 su Post. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 1 Commento.

  1. gran pezzo, giovane Padawan.
    Struggente e toccante. Mi associo al ritardo in qualità di fan di Huey…
    JJ

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